Al centro della lezione di Prodi stanno due ordini di riflessioni:
1.] il rapporto tra il grado di industrializzazione di un Paese (riguardante il secondo settore: l’indutria) e la crisi finanziaria attuale (riguardante il terzo settore: i servizi); 2.] la rilevanza o meno di una politica industriale nel tempo della globalizzazione, da affiancare alla politica monetaria, di una Nazione e al livello continentale (europeo), e in prospettiva globale.
Ritengo che il benessere economico nel mondo non sia dovuto al rapporto tra liberismo e virtù del mercato, a livello industriale (la “mano invisibile”), ma al rapporto tra variabili economiche e massa della popolazione: è per la forza della massa di una popolazione che, soprattutto in Europa, grazie al socialismo, ma anche in America, grazie alla volontà di sopravvivenza (di ordine anche politico) degli individui e, certamente, al loro egoismo (politico) e forza di impatto sociale, … è dunque per questa forza che la popolazione ha potuto raggiungere elevati gradi di benessere. Laddove il mercato sia libero di operare senza vincoli, non c’è benessere, cioè mano invisibile virtuosa, ma sfruttamento della manodopera, come in quelle economie che falsificano il gioco della concorrenza internazionale (attraendo le imprese delle nazioni ricche) per il basso costo del lavoro. Già all’inizio della rivoluzione industriale dell’‘800 si è capito che la mano invisibile del mercato, se lasciata libera di operare, genera povertà e sfruttamento. Le nazioni attualmente ricche lo sono per le conquiste politiche democratiche e sindacali. Ciò appare chiaro, considerando che queste nazioni si stanno impoverendo, con l’alto debito pubblico, con il passaggio a sistemi pensionistici contributivi, e con una sempre maggiore precarietà del lavoro: questi sono i risultati del libero mercato e della globalizzazione. All’interno di tali considerazioni si comprende che non può esistere vero progresso economico, se ogni uomo della terra non può ottenere determianti “standard” di vita, ai quali vanno legate le variabili del mercato. Quindi il secondo settore (l’industria) deve poter produrre fino alla saturazione di tali standard di vita, permanente nel tempo. Ne consegue che oggi non è attuale la politica industriale, non perché ce ne è troppa, ma perché essa è anzi insufficiente, e deve essere sostituita, a livello globale, da una pianificazione dei mercati (del mercato globale), che porti l’industria a produrre tanti beni quanti ne ha bisogno la popolazione povera mondiale, e anche sempre più precaria nei paesi ricchi. E’ questo lo standard “minimo”, perché si possa parlare divero e reale progresso.
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