Lo scenario politico italiano appare così caratterizzato:
1.] una destra che offre un modello identitario affascinante, caratterizzato da ottimismo e ricchezza, agganciato ai valori della tradizione cattolica e sensibile ai temi sociali, temi propri tradizionalmente della sinistra (una destra che svolge il ruolo economico della sinistra); 2.] una sinistra democratica divisa sui valori tradizionali e quindi incapace di esprimere una indicazione legislativa chiara e univoca sui temi della vita (un partito che non può scegliere unitariamente un’unica linea di pensiero e di condotta); sinistra che vuole difendere nel contempo i valori cattolici e quelli radicali; essa è liberale sul piano economico, un liberismo economico tradizionalmente e storicamente appartenente alla destra e, quindi, meglio rappresentato da questa; 3.] partiti radicali e di estrema sinistra che sono squalificati elettoralmente per il fatto di non aver saputo analizzare storicamente la validità, attualità e coerenza delle propri radici ideologiche; 4.] partiti di destra attenti ai valori tradizionali e al localismo e al patriottismo, i quali trovano consenso in una popolazione ideologicamente smarrita, alla ricerca di forti motivi di identità.
All’interno di questo quadro si comprendono il successo della destra e la crisi della sinistra: dopo il crollo storico del comunismo sovietico, il successo della destra corrisponde al successo del liberismo, e la crisi della sinistra corrisponde alla crisi del socialismo, che essa ha abbandonato. Ma dal punto di vista della funzione storica della politica, questa può essere strettamente solo “di sinistra”, perché la politica è interessata ai problemi della gente, mentre la destra è storicamente scesa nell’arena politica solo per difendere i privilegi dei ricchi; una difesa del tutto legittima, storicamente necessaria e anche eticamente giusta. Perché allora il successo della destra e la crisi della sinistra, se la funzione politica è strettamente “di sinistra” ? Perché la sinistra ha abbandonato il socialismo ed ha sposato il liberismo, cioè il mercato, e il mercato assoggetta la ricchezza, il reddito e il patrimonio privati al rischio d’impresa e di mercato, cioè alla competizione. L’uomo è per natura costitutivamente avverso al rischio, di qui l’abbandono della sinistra da parte di una larga parte dei lavoratori, sinistra il cui liberismo ne abbandona la funzione storicamente protettiva dei loro interessi. La destra non è invece realmente interessata alla competizione economica, ma alla difesa e stabilità dell’interesse dei ricchi, e, con ciò, anche dei cittadini, e per questo essa (dopo aver sfruttato storicamente i lavoratori per il proprio arricchimento) ha saputo ultimamente meglio difendere i cittadini dalla logica del rischio di mercato, insieme ai propri interessi, che sono sempre di rendita (in realtà, ogni quota di mercato e ogni fonte di profitto e di reddito, privati e d’impresa, è sempre una posizione di rendita; per questo nessuna impresa ha realmente interesse a competere). La crisi della sinistra è stata causata dall’aver abbandonato il socialismo e dall’aver accolto il liberismo, e il successo della destra è stato causato dal fatto che, dopo essere stata liberista per sfruttare i lavoratori, difesi in un primo momento dalla sinistra sociale e dai sindacati, la destra (con la crisi finanziaria attuale) ha abbandonato la logica di mercato, che assoggetta al rischio la sua rendita, e ha accolto la logica socialista della stabilità, ciò che spiega perché i lavoratori trovino rappresentati meglio i propri interessi dall’interesse dell’imprenditore (con cui si identificano), piuttosto che da una sinistra liberista. Ma la sinistra ha scelto il liberismo per una ragione positiva, in quanto esso premia il merito e abbatte i privilegi, e la competizione rende virtuosi le imprese e i lavoratori. Compito della sinistra politica dovrebbe allora consistere in un recupero dell’ideale socialista e nel porre in esso le istanze liberali, ovvero, nell’attuale fase storica, in un recupero del socialismo, cioè della sua funzione storica di difesa della stabilità della condizione lavorativa e reddituale, per farne lo sfondo istituzionale del liberismo. Merito dell’economia sociale di mercato è di aver individuato l’essenza del liberismo, il quale deve essere considerato come una componente del socialismo. Ma questo ideale non è attuato propriamente dall’economia sociale di mercato, perché questa interpreta il socialismo come residuo ammortizzatore sociale di una condizione resa instabile dal rischio di mercato. Inoltre, termini come “socialismo” e “comunismo” richiamano alla mente ideologie, che si reputano storicamente superate dal crollo del comunismo sovietico, e ciò è un errore, perché essere sono storicamente sempre attuali. Esse possono essere correttamente recuperate, grazie all’apporto del cristianesimo, in cui la solidarietà non è carità (cioè “elemosina”: mero ammortizzatore sociale), ma è, insieme, la meta e la base (cioè la radice e il fondamento) della costruzione della “civiltà dell’amore”, in cui la competizione e il rischio di mercato devono essere intesi come strumenti per la crescita integrale della persona del lavoratore, e quindi come strumenti, solo secondari e ausiliri, posti al servizio dell’uomo. In questo senso,
- prima viene il cristianesmo, come fondamento della civiltà dell’amore; - poi viene il socialismo, inteso come insieme dei diritti inviolabili della persona; - infine, trovano il loro posto (come loro corretta collocazione all’interno del socialismo) il liberismo e il mercato, intesi come criteri meritocratici di arricchimento e di distribuzione della ricchezza.
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