Nel nostro tempo, il mondo delle nazioni vede, da un lato, crescere problemi a carattere globale, che esse sono incapaci di affrontare da sole; dall’altro lato, esso vede crescere strutture istituzionali intergovernative, volte ad unire i loro sforzi per affrontarli. Questa tensione storica trova un protagonista in Romano Prodi, che mette al servizio dei popoli e delle nazioni la sua competenza, esperienza e prestigio internazionali, guadagnati nella docenza universitaria e nella vita politica a livello nazionale e poi europeo. Prodi lavora in un contesto internazionale caratterizzato da maggiore distensione nel mondo, dovuta alla Presidenza Obama e ad una crisi economica internazionale che spinge le nazioni ad essere meno egoistiche e più attente ai problemi sociali. In questo contesto, Prodi costituisce una speranza per un continente, come l’Africa, che viene dimenticato anche perché ritenuto incapace di essere causa di instabilità nel mondo, proprio per via della sua estrema povertà e conseguente irrilevanza geostrategica. Da sempre è diffusa la convinzione che, se un paese [o, in questo caso, un continente] è povero, non conviene arricchirlo, per poi trovarsi di fronte un potenziale competitore e nemico, e quindi è opportuno lasciare la sua popolazione nella estrema povertà. Da questo punto di vista, se nello scenario internazionale l’azione politica di Prodi segna un fattore di stabilità, facendo dialogare tra loro i protagonisti della globalizzazione e delle cause di potenziale instabilità nel mondo, come poter qualificare la sua azione a favore dell’Africa, in modo che ad essa corrisponda un vantaggio concreto e anche egoistico, e non solo ideale, per l’umanità, e non sia quindi solo un “atto umanitario” ? A che titolo la parte povera dell’umanità può esigere di partecipare al grande banchetto del mercato globale ? Un punto che non mi pare abbastanza sottolineato, in Italia e in Europa, da parte dei partiti politici, è la motivazione profonda che deve muovere i loro leader carismatici nella loro azione a sostegno della pace tra i popoli: è questo la religione, la quale, anche nella costruzione europea, non deve costituire solo un fatto privato, ma una motivazione profonda, perché, come ha detto il filosofo Emanuele Severino commentando il pensiero di Hegel, “senza religione non c’è stato”. Per questo, nella costruzione di una civiltà che sia a misura dell’uomo e del genere umano, non può essere esclusa una parte importante dell’umanità. Il progresso si costruisce insieme e per tutti, per la ragione per cui escludere un uomo dal progresso svaluta gli altri uomini, se sono colpevoli di questa esclusione, ciò che li rende disumani e quindi passibili di condanna: aiutarsi reciprocamente, in una sana competizione, insegna il Vangelo, significa arricchire Dio e, quindi, se stessi. Anche nella costruzione europea, la fede non è un fatto privato, ma appartiene a quella visione complessiva della realtà, la quale, eminentemente filosofica, deve essa dettare al legislatore e al giurista il progetto in cui l’ideale politico deve calarsi e tradursi. Così, non ci può essere “una” civiltà nella quale il cristiano chiede cittadinanza, ma ci può essere un'unica civiltà per tutta l’umanità e questa civiltà deve essere necessariamente cristiana proprio in quanto umana. Il cristianesimo [se inteso come filosofia e non solo come religione] non è lo sfondo da cui trarre motivazioni personali all’agire politico, ma è il necessario progetto integrale di una corretta azione politica. Appare saggio limitare l’ingresso dei popoli del mondo nell’Unione Europea, che deve rimanere una cerchia ristretta di nazioni, strettamente europee/continentali, senza che ciò impedica che tutti i popoli possano idealmente aderire alla legislazione europea. L’Europa appare come un gigante fermo, tale cioè solo in potenza. La Presidenza Obama dovrebbe consentire all’Europa di espandersi e di potenziarsi a partire dalla sicurezza interna, secondo le indicazioni del Presidente Napolitano. Anche gli Stati Uniti d’America trarrebbero un vantaggio dal potenziamento militare dell’Europa [che deve avvenire col loro consenso e nell’ambito della NATO], per una maggiore stabilizzazione nella aree critiche del mondo. Ma ciò sarà possibile solo se i popoli europei lo vorranno. Per questo è necessario che sia deciso, una volta per tutte e in modo chiaro, che cosa l’Europa “deve essere” politicamente: non il superamento delle sua nazioni, ma il loro potenziamento, ed un attore/protagonista politico a livello mondiale, a fianco degli USA. In questo senso, la Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli di Romano Prodi può fare molto, con ricadute anche riguardo alla politica interna nei singoli stati europei e in Italia. Essa deve agire sul piano politico ed anche su quello accademico, affinchè i governi ascoltino la voce delle università, cioè del sapere. Questa nuova stagione dell’azione di Prodi dimostra il primato della politica per la soluzione dei problemi del mondo e perché sia segnata ai popoli la strada da percorrere, per un progresso crescente a cui si deve coraggiosamente credere, progresso che sia luce nelle tenebre. Le numerose relazioni internazionali instaurate da Prodi con i più importanti leader politici mondiali, desiderosi della sua amicizia e del suo consiglio, essendo lui stesso, forse, il maggiore tra di essi, ne fanno un protagonista della costruzione del nuovo ordine mondiale, consentita dai potentati economici, la quale non deve contrastare i loro interessi, ma porsi come la loro difesa e potenziamento, nel contestuale interesse dei popoli e delle nazioni ad una vita ricca e pacifica.
|